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La vita in Aforismi

Italo Calvino: 250 frasi e immagini dello scrittore italiano

Italo Calvino, uno dei più famosi autori italiani, in una raccolta delle sue frasi più celebri. Alla scoperta delle sue opere e del suo pensiero attraverso le più belle frasi di Italo Calvino.

Frasi di Italo Calvino

Nella lista degli scrittori italiani più importanti dell’epoca moderna, Italo Calvino occupa un posto di rilievo. Non possiamo quindi non omaggiarlo con una raccolta di aforismi e frasi di Italo Calvino tratte dalle sue opere, per conoscere meglio questo importante scrittore, intellettuale e partigiano italiano.

Italo Calvino: frasi d’amore

Per iniziare la nostra raccolta di frasi significative di Italo Calvino, dedichiamoci a un tema fondamentale della letteratura di ogni epoca: l’amore.
Se cercate delle dediche d’amore a firma di Italo Calvino, sicuramente troverete quella che fa per voi qui di seguito:

Ma in tutta quella smania c’era un’insoddisfazione più profonda, una mancanza, in quel cercare gente che l’ascoltasse c’era una ricerca diversa. Cosimo non conosceva ancora l’amore, e ogni esperienza, senza quella, che è? Che vale aver rischiato la vita, quando ancora della vita non conosci il sapore?

Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così.

– Perché mi fai soffrire?
– Perché ti amo. Ora era lui ad arrabbiarsi: – No, non mi ami! Chi ama vuole la felicità, non il dolore.
– Chi ama vuole solo l’amore, anche a costo del dolore.
– Mi fai soffrire apposta, allora.
– Sì, per vedere se mi ami.
La filosofia del Barone si rifiutava d’andar oltre.
– Il dolore è uno stato negativo dell’anima.
– L’amore è tutto.
– Il dolore va sempre combattuto.
– L’amore non si rifiuta a nulla.
– Certe cose non le ammetterò mai.
– Sì che le ammetti, perché mi ami e soffri.

L’amore come la golosità, sono piaceri di grande soddisfazione.

Ecco, pensò Amerigo, quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari. E pensò: ecco, questo modo d’essere è l’amore. E poi: l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo.

Mettere al mondo un figlio ha un senso solo se questo figlio è voluto, coscientemente e liberamente dai due genitori. Se no è un atto animalesco e criminoso. Un essere umano diventa tale non per il casuale verificarsi di certe condizioni biologiche, ma per un atto di volontà e d’amore da parte degli altri.

Se infelice è l’innamorato che invoca baci di cui non sa il sapore, mille volte più infelice è chi questo sapore gustò appena e poi gli fu negato.

Perché mi fai soffrire? – Perché ti amo. Ora era lui ad arrabbiarsi: – No, non mi ami! Chi ama vuole la felicità, non il dolore. – Chi ama vuole solo l’amore, anche a costo del dolore. – Mi fai soffrire apposta, allora. – Sì, per vedere se mi ami. La filosofia del Barone si rifiutava d’andar oltre. – Il dolore è uno stato negativo dell’anima. – L’amore è tutto. – Il dolore va sempre combattuto. – L’amore non si rifiuta a nulla. – Certe cose non le ammetterò mai. – Sì che le ammetti, perché mi ami e soffri.

Ora siete marito e moglie, Lettore e Lettrice. Un grande letto matrimoniale accoglie le vostre letture parallele.

Si mette a letto dalla propria parte, ma prima col piede, poi con tutto il corpo, si sposta tutto nella nicchia di tepore lasciata dalla moglie. Quando lei torna la sera, lui è alzato da un pezzo ad aspettarla. Mangiano qualcosa, con lo struggimento di avere così poco tempo per stare insieme, tanto che non riescono quasi a portarsi il cucchiaio alla bocca, dalla voglia che avrebbero “di star lì a tenersi per mano”.

L’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo.

Finito il turno Arturo torna a casa, alle volte un po’ dopo e alle volte un po’ prima che suoni la sveglia della moglie, Elide. Lei, stirandosi con “una specie di dolcezza pigra”, gli mette le braccia al collo, e dal suo giaccone capisce il tempo che fa fuori.

Tu ragioni troppo. Perché mai l’amore va ragionato? – Per amarti di più. Ogni cosa, a farla ragionando, aumenta il suo potere.

E lei: – Tu non credi che l’amore sia dedizione assoluta, rinuncia di sé…

Era lì sul prato, bella come mai, e la freddezza che induriva appena i suoi lineamenti e l’altero portamento della persona sarebbe bastato un niente a scioglierli, e riaverla tra le braccia… Poteva dire qualcosa, Cosimo, una qualsiasi cosa per venirle incontro, poteva dirle: – Dimmi che cosa vuoi che faccia, sono pronto… – e sarebbe stata di nuovo la felicità per lui, la felicità insieme senza ombre. Invece disse: – Non ci può essere amore se non si è se stessi con tutte le proprie forze.

Mentone non mi attraeva più: perché io avevo ancora quel bisogno d’amici che è proprio dei giovani, cioè il bisogno di dare un senso a quel che vivono parlandone con altri; ossia ero lontano dall’autosufficienza virile, che s’acquista con l’amore, fatto insieme d’integrazione e solitudine.

La pagina ha il suo bene solo quando la volti e c’è la vita dietro che spinge e scompiglia tutti i fogli del libro.

La penna corre spinta dallo stesso piacere che ti fa correre le strade. Il capitolo che attacchi e non sai ancora quale storia racconterà è come l’angolo che svolterai uscendo dal convento e non sai se ti metterà a faccia con un drago, uno stuolo barbaresco, un’isola incantata, un nuovo amore.

Questa storia che ho intrapreso a scrivere è ancora più difficile di quanto io non pensassi. Ecco che mi tocca rappresentare la più gran follia dei mortali, la passione amorosa, dalla quale il voto, il chiostro e il naturale pudore m’hanno fin qui scampata.

Dunque anche dell’amore come della guerra dirò alla buona quel che riesco a immaginarne: l’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.

Nell’eros come nella ghiottoneria, il piacere è fatto di precisione.

Era una donna di armoniose lune, di piuma tenera e di fiotto gentile. Rambaldo ne fu tosto innamorato.

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Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così. (Italo Calvino)

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Italo Calvino: aforismi sui libri, sulla scrittura e sulla lettura

Ogni scrittore è, prima di diventare tale, un avido lettore. Italo Calvino, in più, fu anche autore di diversi saggi sulla letteratura e sul suo impatto, specialmente in età giovanile. Questi saggi sono stati raccolti nell’opera postuma Perché leggere i classici, e molte delle prossime frasi di Italo Calvino che seguono, sul tema della lettura, dei libri e della letteratura, sono tratte da questo volume.

Un classico è un libro che viene prima di altri classici; ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia.

Le cose che il romanzo non dice sono necessariamente più di quelle che dice, e solo un particolare riverbero di ciò che è scritto può dare l’illusione di stare leggendo anche il non scritto.

È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona.

Una poesia vive anche per il potere d’irradiare ipotesi divagazioni associazioni d’idee in territori lontani, o meglio di richiamare e agganciare a sé idee di varia provenienza, organizzandole in una mobile rete di riferimenti e rifrazioni, come attraverso un cristallo.

Anch’io sento il bisogno di rileggere i libri che ho già letto, ma ad ogni rilettura mi sembra di leggere per la prima volta un libro nuovo. Sarò io che continuo a cambiare e vedo cose di cui prima non m’ero accorto? Oppure la lettura è una costruzione che prende forma mettendo insieme un gran numero di variabili e non può ripetersi due volte secondo lo stesso disegno?

Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.

Ogni libro nasce in presenza di altri libri, in rapporto e confronto ad altri libri.

La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio.

Hemingway è figlio delle contraddizioni di un’epoca: ribelle e denunciatore per un verso, ma per un altro senza fiducia in un avvenire, e invece disperatamente in cerca di un mito oscuro di antichità: l’Europa, il Cattolicesimo, l’Italia, la Spagna.

La conclusione a cui sono arrivato è che la lettura è un’operazione senza oggetto; o che il suo vero oggetto è se stessa. Il libro è un supporto accessorio o addirittura un pretesto.

[Thomas Mann] Lui capì tutto o quasi del nostro mondo, ma sporgendosi da un’estrema ringhiera dell’Ottocento. Noi vediamo il mondo precipitando nella tromba delle scale.

Ma qualcosa è cambiato, da ieri. La tua lettura non è più solitaria: pensi alla Lettrice che in questo momento sta aprendo anche lei il libro, ed ecco che al romanzo da leggere si sovrappone un possibile romanzo da vivere, il seguito della tua storia con lei, o meglio: l’inizio di una possibile storia.

Chi tu sia, Lettore, quale sia la tua età, lo stato civile, la professione, il reddito, sarebbe indiscreto chiederti. Fatti tuoi, veditela un po’ tu. Quello che conta è lo stato d’animo con cui ora, nell’intimità della tua casa, cerchi di ristabilire la calma perfetta per immergerti nel libro, allunghi le gambe, le ritrai, le riallunghi.

Ogni volta che cerco di rivivere l’emozione di una lettura precedente, ricavo impressioni diverse e inattese, e non ritrovo quelle di prima.

La letteratura vive solo se si pone degli obbiettivi smisurati, anche al di là d’ogni possibilità di realizzazione.

Ecco come sei già cambiato da ieri, tu che sostenevi di preferire un libro, cosa solida, che sta lì, ben definita, fruibile senza rischi, in confronto all’esperienza vissuta, sempre sfuggente, discontinua, controversa. Vuol dire che il libro è diventato uno strumento, un canale di comunicazione, un luogo d’incontro? Non per ciò la lettura avrà meno presa su di te: anzi, qualcosa s’aggiunge ai suoi poteri.

L’opera letteraria potrebbe esser definita come un’operazione nel linguaggio scritto che coinvolge contemporaneamente più livello di realtà […] la letteratura non conosce la realtà ma solo livelli. […] La letteratura conosce la realtà dei livelli e questa è una realtà che conosce forse meglio di quanto non s’arrivi a conoscerla attraverso altri procedimenti conoscitivi. È già molto.

Su Cristo si è fermato a Eboli] C’è nel libro un alto livello intellettuale, vi si respira la cultura europea in cui Carlo Levi ha affondato le sue radici, diciamo la cultura europea fino a quell’epoca, fino alla seconda guerra mondiale; c’è la passione di sistemarne tutti i dati di un discorso coerente, e non ancora il timore di spezzare l’armonia d’una sistemazione con nuove acquisizioni, con nuove messe in questione; non ancora insomma l’olimpicità culturalmente paga di se stessa che Carlo Levi si forgiò in seguito come una corazza contro tanta parte del problematismo contemporaneo.

No, tu speri sempre d’imbatterti nella novità vera, che essendo stata novità una volta, continui a esserlo per sempre. Avendo letto il libro appena uscito, ti approprierai di questa novità dal primo istante, senza dover poi inseguirla, rincorrerla. Sarà questa la volta buona? Non si sa mai. Vediamo come comincia.

Ma come stabilire il momento esatto in cui comincia una storia? Tutto è sempre cominciato già da prima, la prima riga della prima pagina d’ogni romanzo rimanda a qualcosa che è già successo fuori dal libro. Oppure la vera storia è quella che comincia dieci o cento pagine più avanti e tutto ciò che precede è solo un prologo.

È uno speciale piacere che ti dà il libro appena pubblicato, non è solo un libro che porti con te ma la sua novità, che potrebbe essere anche solo quella dell’oggetto uscito ora dalla fabbrica, la bellezza dell’asino di cui anche i libri s’adornano, che dura finché la copertina non comincia a ingiallire, un velo di smog a depositarsi sul taglio, il dorso a sdrucirsi agli angoli, nel rapido autunno delle biblioteche.

Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto.

Questa dell’amore per le cose di cui parla è una caratteristica che bisogna tener presente se si vuole riuscire a definire la singolarità dell’operazione letteraria di Levi. Perché quest’uomo che si dice sempre che mette se stesso al centro d’ogni narrazione, che fa scaturire sempre attorno alla sua presenza incontri straordinari, è poi lo scrittore più dedito alle cose, al mondo oggettivo, alle persone. Il suo metodo è di descrivere con rispetto e devozione ciò che vede, con uno scrupolo di fedeltà che gli fa moltiplicare particolari e aggettivi. La sua scrittura è un puro strumento di questo suo rapporto amoroso col mondo, di questa fedeltà agli oggetti della sua rappresentazione.

Tutte le “realtà” e le “fantasie” possono prendere forma solo attraverso la scrittura, nella quale esteriorità e interiorità, mondo e io, esperienza e fantasia appaiono composte della stessa materia verbale; le visioni polimorfe degli occhi e dell’anima si trovano contenute in righe uniformi di caratteri minuscoli o maiuscoli, di punti, di virgole, di parentesi; pagine di segni allineati fitti fitti come granelli di sabbia rappresentano lo spettacolo variopinto del mondo in una superficie sempre uguale e sempre diversa, come le dune spinte dal vento del deserto.

La lettura è un rapporto con noi stessi e non solo col libro, col nostro mondo interiore attraverso il mondo che il libro ci apre.

D’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.

A un certo punto era solo questo rapporto a interessarmi, la mia storia diventava soltanto la storia della penna d’oca della monaca che correva sul foglio bianco.

Io credo alla pedagogia repressiva. Mi rendo conto di essere molto antiquato in questo, ma continuo ad essere convinto che resti il miglior metodo d’educazione alla cultura.

Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia; in entrambi i casi è ricerca d’un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile.

Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserva la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli.

Nella lettura avviene qualcosa su cui non ho potere.

Ogni nuovo libro che leggo entra a far parte di quel libro complessivo e unitario che è la somma delle mie letture.

Leggere, è andare incontro a una cosa che dovrà esistere.

Possiamo impedire di leggere: ma nel decreto che proibisce la lettura si leggerà pur qualcosa della verità che non vorremmo venisse mai letta.

L’interesse all’azione sopravviveva però nel piacere di leggere; la sua passione erano sempre le narrazioni di fatti, le storie, l’intreccio delle vicende umane.

La lettura non è paragonabile con nessun altro mezzo d’apprendimento e di comunicazione.

L’universo esprimerà se stesso fin tanto che qualcuno potrà dire “io leggo dunque esso scrive”.

I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: “Sto rileggendo…” e mai “Sto leggendo…”

La lettura ha un suo ritmo che è governato dalla volontà del lettore.

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace.

Qualcosa che ci sfugge deve pur restare… Perché il potere abbia un oggetto su cui esercitarsi, uno spazio in cui allungare le sue braccia… Finché so che al mondo c’e’ qualcuno che fa dei giochi di prestigio solo per amore del gioco, finché so che c’e’ una donna che ama la lettura per la lettura, posso convincermi che il mondo continua… E ogni sera m’abbandono alla lettura, come quella lontana lettrice sconosciuta.

La lettura è un atto necessariamente individuale, molto più dello scrivere.

Ascoltare qualcuno che legge ad alta voce è molto diverso che leggere in silenzio. Quando leggi, puoi fermarti o sorvolare sulle frasi: il tempo sei tu che lo decidi. Quando è un altro che legge è difficile far coincidere la tua attenzione col tempo della sua lettura: la voce va o troppo svelta o troppo piano.

In un’epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e rischiano d’appiattire ogni comunicazione in una crosta uniforme e omogenea, la funzione della letteratura è la comunicazione tra ciò che è diverso in quanto è diverso, non ottundendone bensì esaltandone la differenza, secondo la vocazione propria del linguaggio scritto.

L’eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverabile in molti campi d’attività, non in letteratura. La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là d’ogni possibilità di realizzazione: solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione.

Da quando la scienza diffida delle spiegazioni generali e delle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo.

Ogni interpretazione impoverisce il mito e lo soffoca: coi miti non bisogna aver fretta; è meglio lasciarli depositare nella memoria, fermarsi a meditare su ogni dettaglio, ragionarci sopra senza uscire dal loro linguaggio di immagini. La lezione che possiamo trarre da un mito sta nella letteralità del racconto, non in ciò che vi aggiungiamo noi dal di fuori.

Prendi la posizione più comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato. Coricato sulla schiena, su un fianco, sulla pancia. In poltrona, sul divano, sulla sedia a dondolo, sulla sedia a sdraio, sul pouf. Sull’amaca se ne hai una. Sul letto, naturalmente, o dentro il letto. Puoi anche metterti a testa in giù, in posizione yoga. Col libro capovolto, si capisce.

E coi libri? Ecco, proprio perché lo hai escluso in ogni altro campo, credi che sia giusto concederti ancora questo piacere giovanile dell’aspettativa in un settore ben circoscritto come quello dei libri, dove può andarti male o andarti bene, ma il rischio della delusione non è grave.

Il mio libro s’apre e si chiude su immagini di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici.

La lettura è solitudine. Si legge da soli anche quando si è in due.

Non si leggono i classici per dovere o per rispetto, ma solo per amore.

A me – dice – piacciono i libri in cui tutti i misteri e le angosce passano attraverso una mente esatta e fredda e senza ombre come quella d’un giocatore di scacchi.

Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.

Il “tuo” classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.

La scuola e l’università dovrebbero servire a far capire che nessun libro che parla d’un libro dice di più del libro in questione; invece fanno di tutto per far credere il contrario.

Leggere per la prima volta un grande libro in età matura è un piacere straordinario: diverso (ma non si può dire maggiore o minore) rispetto a quello d’averlo letto in gioventù. La gioventù comunica alla lettura come a ogni altra esperienza un particolare sapore e una particolare importanza; mentre in maturità si apprezzano (si dovrebbero apprezzare) molti dettagli e livelli e significati in più.

Un classico è un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso.

Il buon lettore è come un viaggiatore curioso: ogni libro scelto rappresenta l’inizio di un viaggio dove poter esplorare nuovi mondi e arricchire la propria mente.

I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.

L’aspetto in cui l’amplesso e la lettura s’assomigliano di più è che al loro interno s’aprono tempi e spazi diversi dal tempo e dallo spazio misurabili.

Tutto è già cominciato prima, la prima riga della prima pagina di ogni racconto si riferisce a qualcosa che è già accaduto fuori dal libro.

Considerava i libri un po’ come degli uccelli e non voleva vederli fermi o ingabbiati.

Ci dovrebbe essere un tempo nella vita adulta dedicato a rivisitare le letture più importanti della gioventù. Se i libri sono rimasti gli stessi (ma anch’essi cambiano, nella luce d’una prospettiva storica mutata) noi siamo certamente cambiati, e l’incontro è un avvenimento del tutto nuovo.

I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti.

Per vaste che possano essere le letture «di formazione» d’un individuo, resta sempre un numero enorme d’opere fondamentali che uno non ha letto.

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La lettura è solitudine. Si legge da soli anche quando si è in due. (Italo Calvino)

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Calvino Italo: frasi sulla vita

In ogni opera letteraria possiamo trovare degli importanti e saggi insegnamenti di vita. Non fanno eccezione quelle di Italo Calvino: frasi, aforismi e pensieri sulla vita tratti dalle sue migliori opere relativi alla vita nel senso più ampio sono stati raccolti in questa sezione.
Tante piccole perle di saggezza su cui riflettere che, magari, vi daranno proprio la risposta che stavate cercando!

Nelle mia religione ci insegnano che ogni essere vivente, ogni foglia, ogni uccello, sono vivi solo perché contengono la parola segreta per la vita. È l’unica differenza tra noi e un grumo di argilla. La parola. Le parole sono la vita, Liesel. Tutte quelle pagine bianche le regalo a te per riempirle.

Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.

C’è un modo colpevole di abitare la città: accettare le condizioni della bestia feroce dandogli in pasto i nostri figli. C’è un modo colpevole di abitare la solitudine: credersi tranquillo perché la bestia feroce è resa inoffensiva da una spina nella zampa.

Nei musei mi fermo sempre volentieri davanti ai sangirolami. I pittori rappresentano l’eremita come uno studioso che consulta trattati all’aria aperta, seduto all’imboccatura d’una grotta. Poco più in là è accucciato un leone, domestico, tranquillo. Perché un leone? La parola scritta ammansisce le passioni? O sottomette le forze della natura? O trova un’armonia con la disumanità dell’universo? O cova una violenza trattenuta ma sempre pronta ad avventarsi, a sbranare?

Pin, il codice penale è sbagliato. C’è scritto tutto quello che uno non può fare nella vita: furto, omicidio, ricettazione, appropriazione indebita, ma non c’è scritto cosa uno può fare, invece di fare tutte quelle cose, quando si trova in certe condizioni.

Uno stemma tra due lembi d’un ampio manto drappeggiato, e dentro lo stemma s’aprivano altri due lembi di manto con in mezzo uno stemma più piccolo, […] e in mezzo ci doveva essere chissà che cosa, ma non si riusciva a scorgere.

Non c’è linguaggio senza inganno.

L’Insostenibile Leggerezza dell’Essere è in realtà un’amara constatazione dell’Ineluttabile Pesantezza del Vivere […] Il peso del vivere per Kundera sta in ogni forma di costrizione: la fitta rete di costrizioni pubbliche e private che finisce per avvolgere ogni esistenza con nodi sempre più stretti.

L’eroe della storia è colui che nella città punta la lancia nella gola del drago, e nella solitudine tiene con sé il leone nel pieno delle sue forze, accettandolo come custode e genio domestico, ma senza nascondersi la sua natura di belva.

Nell’enorme vuoto delle sue ore, Copito de Nieve non abbandona mai il suo copertone. Cosa sarà questo oggetto per lui? Un giocattolo? Un feticcio? Un talismano? a Palomar sembra di capire perfettamente il gorilla, il suo bisogno di una cosa da tener stretta mentre tutto gli sfugge, una cosa in cui placare l’angoscia dell’isolamento, della diversità, della condanna a essere sempre considerato un fenomeno vivente, dalle sue femmine e da suoi figli come dai visitatori dello zoo.

L’arte di scriver storie sta nel saper tirare fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto. ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla.

Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.

Chi ha occhio, trova quel che cerca anche ad occhi chiusi.

La fantasia è come la marmellata, bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane.

Ci sono quelli che si condannano al grigiore della vita più mediocre perché hanno avuto un dolore, una sfortuna; ma ci sono anche quelli che lo fanno perché hanno avuto più fortuna di quella che si sentivano di reggere.

Le vite degli individui della specie umana formano un intreccio continuo, in cui ogni tentativo di separare un pezzo di vissuto che abbia un senso separatamente dal resto .

Chi oserebbe condannarti alla perdita del tu, catastrofe non meno terribile della perdita dell’io.

Una volta acquisiti dalla tua persona, marcati dal tuo possesso gli oggetti non hanno più l’aria di essere lì per caso, assumono un significato come parti di un discorso, d’una memoria fatta di segnali e emblemi. Sei possessiva? […] Sei possessiva verso te stessa, ti attacchi ai segni in cui identifichi qualcosa di te, temendo di perderti con loro.

Dalle tende a cono si levava il concerto dei pesanti respiri addormentati. Cosa fosse quel poter chiudere gli occhi, perdere coscienza di sé, affondare in un vuoto delle proprie ore, e poi svegliandosi ritrovarsi eguale a prima, a riannodare i fili della propria vita, Agilulfo non lo poteva sapere e la sua invidia per la facoltà di dormire propria delle persone esistenti era un’invidia vaga, come di qualcosa che non si sa nemmeno concepire.

Esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca.

Il passo tra la realtà che viene fotografata in quanto ci appare bella e la realtà che ci appare bella in quanto è stata fotografata, è brevissimo.

La conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso.

Il suo segreto è il modo in cui la vista scorre su figure che si succedono come in una partitura musicale nella quale non si può cambiare spostare nessuna nota.

Quello che vorresti é l’aprirsi d’uno spazio e d’un tempo astratti ed assoluti in cui muoverti seguendo una traiettoria esatta e tesa; ma quando ti sembra di riuscirci t’accorgi d’esser fermo, bloccato, costretto a ripetere tutto da capo.

Le riflessioni che il negozio del macellaio ispira a chi vi entra con la borsa della spesa coinvolgono cognizioni tramandate per secoli in varie branche del sapere: la competenza delle carni e del tagli, il miglior modo di cuocere ogni pezzo, i riti che permettono di placare il rimorso per l’uccisione d’altre vite al fine di nutrire la propria.

Chi ha l’occhio, trova quel che cerca anche a occhi chiusi.

Lei crede che ogni storia debba avere un principio e una fine? Anticamente un racconto aveva solo due modi per finire: passate tutte le prove, l’eroe e l’eroina si sposavano oppure morivano. Il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce: la continuità della vita, l’inevitabilità della morte.

Il bassotto alzò il muso verso di lui, con lo sguardo dei cani quando non capiscono e non sanno che possono aver ragione a non capire.

Il meglio che ci si può aspettare è di evitare il peggio.

Se verrai con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro.

Beati quelli il cui atteggiamento verso la realtà è dettato da immutabili ragioni interiori!

Così decifrando il diario della melanconica (o felice?) collezionista di sabbia, sono arrivato a interrogarmi su cosa c’è scritto in quella sabbia di parole scritte che ho messo in fila nella mia vita, quella sabbia che adesso mi appare tanto lontana dalle spiagge e dai deserti del vivere. Forse fissando la sabbia come sabbia, le parole come parole, potremo avvicinarci a capire come e in che misura in mondo triturato ed eroso possa ancora trovarvi fondamento e modello.

Non possiamo conoscere nulla d’esterno a noi scavalcando noi stessi – egli pensa ora – l’universo è lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere in noi.

Pin non ha voglia di giocare e continua a camminare a perdifiato, con una tristezza che gli annuvola la gola.

Agilulfo trascina un morto e pensa:”[…]È vero che chi esiste ci mette sempre anche un qualcosa, una impronta particolare, che a me non riuscirà mai di dare. Ma se il loro segreto è qui, in questo succo di trippe, grazie, ne faccio a meno. Questa valle di corpi nudi che si disgregano non mi fa più ribrezzo del carnaio del genere umano vivente.

La fantasia è una specie di macchina elettronica che tiene conto di tutte le combinazioni possibili e sceglie quelle che rispondono ad un fine, o che semplicemente sono le più interessanti, piacevoli, divertenti.

Certo il costo da pagare è alto ma dobbiamo accettarlo: non poterci distinguere dai tanti segnali che passano per questa via, ognuno con un suo significato che resta nascosto e indecifrabile perché fuori di qui non c’è più nessuno capace di riceverci e d’intenderci.

Ogni vita è un enciclopedia, una biblioteca, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili.

Tu butti fuori certi peti più puzzolenti dei miei, cadavere. Non so perché tutti ti compiangano. Cosa ti manca? Prima ti muovevi, ora il tuo movimento passa ai vermi che tu nutri. Crescevi unghie e capelli: ora colerai liquame che farà crescere più alte nel sole le erbe del prato. Diventerai erba, poi latte delle mucche che mangeranno l’erba, sangue di bambino che ha bevuto il latte, e così via. Vedi che sei più bravo a vivere tu di me, o cadavere?

Cosa li spinge a questa vita, cosa li spinge a combattere, dimmi? È l’offesa della loro vita, il buio della loro strada, il suicidio della loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di dover essere cattivi. E basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell’anima e ci si ritrova dall’altra parte, come Pelle, dalla brigata nera, a sparare con lo stesso furore, con lo stesso odio, contro gli uni o contro gli altri, fa lo stesso.

Oh Pamela, questo è il bene dell’esser dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza.

Forse questi suoi vagheggiamenti di severità e rigore se li era messi in testa per contrastare la sua vera natura.

La novella è un cavallo: un mezzo di trasporto, con una sua andata, trotto o galoppo, secondo il percorso che deve compiere, ma le velocità di cui si parla è una velocità mentale.

Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco io ora ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e sofferenze del mondo.

In ogni caso il racconto è un’operazione sulla durata, un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo o dilatandolo.

La fantasia è un posto dove ci piove dentro.

Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose, – conclude – ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile.

Non che t’aspetti qualcosa di particolare. Sei uno che per principio non s’aspetta più niente da niente. Ci sono tanti, più giovani di te o meno giovani, che vivono in attesa di esperienze straordinarie; dai libri, dalle persone, dai viaggi, dagli avvenimenti, da quello che il domani tiene in serbo. Tu no. Tu sai che il meglio che ci si può aspettare è di evitare il peggio. Questa è la conclusione a cui sei arrivato, nella vita personale come nelle questioni generali e addirittura mondiali.

Che ce ne importa di chi è già un eroe, di chi la coscienza ce l’ha già? E’ il processo per arrivarci che si deve rappresentare! Finché resterà un solo individuo al di qua della coscienza, il nostro dovere sarà di occuparci di lui e solo di lui.

Cosimo tutti i giorni era sul frassino a guardare il prato come se in esso potesse leggere qualcosa che da tempo lo struggeva dentro: l’idea stessa della lontananza, dell’incolmabilità, dell’attesa che può prolungarsi oltre la vita.

Ci sono quelli che si condannano al grigiore della vita più mediocre perché hanno avuto un dolore, una sfortuna; ma ci sono anche quelli che lo fanno perché hanno avuto più fortuna di quella che si sentivano di reggere.

La vita d’una persona consiste in un insieme d’avvenimenti di cui l’ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l’insieme, non perché conti di più dei precedenti ma perché inclusi in una vita gli avvenimenti si dispongono in un ordine che non è cronologico, ma risponde a un’architettura interna.

Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori!

I grandi sono una razza ambigua e traditrice, non hanno quella serietà terribile nei giochi propria dei ragazzi, pure hanno anch’essi i loro giochi, sempre più seri, un gioco dentro l’altro che non si riesce mai a capire qual è il gioco vero.

Anche ad essere si impara.

Non sapeva cosa avrebbe voluto: capiva solo quant’era distante, lui come tutti, dal vivere come va vissuto quello che cercava di vivere.

Gridò, se si può dir che gridi chi parla senza emetter quasi suono ma con tutta la sua forza.

Quello che veramente ognuno di noi è ed ha, è il passato; quello che siamo e abbiamo è il catalogo delle possibilità non fallite, delle prove pronte a ripetersi. Non esiste un presente, procediamo ciechi verso il fuori e il dopo, sviluppando un programma stabilito con materiali che ci fabbrichiamo sempre uguali.

Non tendiamo a nessun futuro, non c’è niente che ci aspetta, siamo chiusi tra gli ingranaggi d’una memoria che non prevede altro lavoro che il ricordare se stessa.

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Anche ad essere si impara. (Italo Calvino)

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Italo Calvino, Le città invisibili: frasi famose

Le città invisibili di Italo Calvino è una delle sue opere più conosciute. Uno dei motivi per cui ha riscosso così tanto successo è stata la sua particolare struttura: in questo romanzo, infatti, Calvino lascia al lettore la possibilità di scoprire le combinazioni di lettura e di linguaggio del libro. Per questo motivo è anche detto “romanzo combinatorio”.
Se ancora non siete convinti di questa brillante opera, ecco alcune frasi da “Le città invisibili”:

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.

Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.

Chi comanda al racconto non è la voce: è l’orecchio.

Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone.

La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche che dall’ultimo modello d’apparecchio.

L’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità.

Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell’esistenza di ieri è circondato d’un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare.

Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori dalla città, certo; ma ogni anno la città s’espande, e gli immondezzai devono arrestrare più lontano; l’imponenza del gettito aumenta e le cataste s’inalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto.

È una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne. Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere.

Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni infetti in cui i detriti dell’una e dell’altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si mescolano.

Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.

Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed è quando l’ha riconosciuta per il segno di un’altra cosa: un’impronta sulla sabbia indica il passaggio della tigre, un pantano annuncia una vena d’acqua, il fiore dell’ibisco la fine dell’inverno.

Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.

Marco entra in una città; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istante che potevano essere suoi; al posto di quell’uomo ora avrebbe potuto esserci lui se si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempo prima a un crocevia invece di prendere una strada avesse preso quella opposta e dopo un lungo giro fosse venuto a trovarsi al posto di quell’uomo in quella piazza.

Ormai, da quel suo passato vero o ipotetico, lui è escluso; non può fermarsi; deve proseguire fino a un’altra città dove lo aspetta un altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora è il presente di qualcun altro.

I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi.

È per smaltire un carico di nostalgia che sei andato tanto lontano!

Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.

Dice: – Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può che essere la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.

Kublai domanda a Marco: — Quando ritornerai a Ponente, ripeterai alla tua gente gli stessi racconti che fai a me?— Io parlo, parlo, — dice Marco, — ma chi m’ascolta ritiene solo le parole che aspetta.

Altra è la descrizione del mondo cui tu presti benigno orecchio, altra quella che farà il giro dei capannelli di scaricatori e gondolieri sulle fondamenta di casa mia il giorno del mio ritorno, altra ancora quella che potrei dettare in tarda età, se venissi fatto prigioniero da pirati genovesi e messo in ceppi nella stessa cella di uno scrivano di romanzi d’avventura.

Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.

La città per chi passa senza entrarci è una, e un’altra per chi ne è preso e non ne esce; una è la città in cui s’arriva la prima volta, un’altra quella che si lascia per non tornare; ognuna merita un nome diverso.

Si arriva a un momento della vita in cui tra la gente che si è conosciuta i morti sono più dei vivi.

E la mente si rifiuta di accettare altre fisionomie, altre espressioni: su tutte le facce nuove che incontra, imprime i vecchi calchi, per ognuna trova la maschera che s’adatta di più.

L’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco dei luoghi estranei e non posseduti.

I desideri sono già ricordi.

Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.

L’altrove è uno specchio in negativo.

Entrai a Ipazia un mattino, un giardino di magnolie si specchiava su lagune azzurre, io andavo tra le siepi sicuro di scoprire belle e giovani dame fare il bagno: ma in fondo all’acqua i granchi mordevano gli occhi delle suicide con la pietra legata al collo e i capelli verdi d’alghe.

La menzogna non è nel discorso, è nelle cose.

All’uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio d’una città.

Finalmente giunge a Isidora, città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine, dove si fabbricano a regola d’arte cannocchiali e violini, dove quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza, dove le lotte dei galli degenerano in risse sanguinose tra gli scommettitori.

A tutte queste cose egli pensava quando desiderava una città.

Isidora è dunque la città dei suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età.

Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro.

Forse l’impero, pensò Kublai, non è altro che uno zodiaco di fantasmi della mente.

Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra. – Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan. – Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell’arco che esse formano. Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che mi importa. Polo risponde: – Senza pietre non c’è arco.

Viaggiando ci s’accorge che le differenze si perdono: ogni città va somigliando a tutte le città, i luoghi si scambiano forma ordine distanze, un pulviscolo informe invade i continenti.

Ogni volta che si entra nella piazza ci si trova in mezzo ad un dialogo.

Gli antichi costruirono Valdrada sulle rive di un lago con case, tutte verande una sopra l’altra e vie alte che affacciano sull’acqua i parapetti a balaustra. Così il viaggiatore vede arrivando due città: una diritta sopra il lago e una riflessa capovolta.

Non esiste o avviene cosa nell’una Valdrada che l’altra Valdrada non ripeta, perché la città fu costruita in modo che ogni suo punto fosse riflesso dal suo specchio, e la Valdrada giù nell’acqua contiene non solo tutte le scanalature e gli sbalzi delle facciate che s’elevano sopra il lago ma anche l’interno delle stanze con i soffitti e i pavimenti, la prospettiva dei corridoi, gli specchi degli armadi.

Chiese a Marco Kublai: – Tu che esplori intorno e vedi i segni, saprai dirmi verso quale futuro ci spingono i venti propizi. – Per questi porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data dell’approdo.

Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo d’un paesaggio incongruo un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s’incontrano nel viavai, per pensare che da lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie.

Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla. Forse mentre noi parliamo sta affiorando sparsa entro i confini del tuo impero; puoi rintracciarla, ma a quel modo che t’ho detto.

Forse mentre noi parliamo sta affiorando sparsa entro i confini del tuo impero; puoi rintracciarla, ma a quel modo che t’ho detto. Già il Gran Kan stava sfogliando nel suo atlante le carte della città che minacciano negli incubi e nelle maledizioni: Enoch, Babilonia, Yahoo, Butua, Brave New World.

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Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà. (Italo Calvino)

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Aforismi di Italo Calvino sulle donne

Nelle opere di Italo Calvino spesso sono le donne a essere il fulcro dell’azione: sono loro a determinare come si evolvono le vicende, travolgendo i personaggi maschili. Molto si è detto della figura femminile nelle opere (e nella vita) di Italo Calvino, e molto ci sarebbe ancora da dire, ma in questa sede ci limiteremo a esplorare l’idea del genere femminile attraverso le frasi di Calvino sulle donne:

Solo quando lo stomaco è pieno, il fuoco è acceso, e non s’è camminato troppo durante il giorno, ci si può permettere di sognare una donna nuda e ci si sveglia al mattino sgombri e spumanti, con una letizia come d’ancore salpate.

Corre e s’innamora il giovane, insicuro di sé, felice e disperato, e per lui la donna è quella che certamente c’è, e lei sola può dargli quella prova.

La guerra la combatti bene soltanto dove tra le punte delle lance intravedi una bocca di donna, e tutto, le ferite il polverone l’odore dei cavalli, non ha sapore che di quel sorriso.

Per questa donna leggere vuol dire spogliarsi d’ogni intenzione e d’ogni partito preso, per essere pronta a cogliere una voce che si fa sentire quando meno ci s’aspetta, una voce che viene non si sa da dove, da qualche parte al di là del libro, al di là dell’autore, al di là delle convenzioni della scrittura: dal non detto, da quello che il mondo non ha ancora detto di sé e non ha ancora le parole per dire.

E ogni mercoledì la damigella profumata mi dà un biglietto da cento corone perché la lasci sola col detenuto. E al giovedì le corone se ne sono già andate in tanta birra. E quand’è finita l’ora della visita la damigella esce col puzzo della galera sulle sue vesti eleganti; e il detenuto torna in cella col profumo della damigella sui suoi panni da galeotto. E io resto con l’odore di birra. La vita non è altro che uno scambio di odori.

La signora Isotta s’accorse allora di come la donna sia sola, di come tra le sue simili sia rara (forse spezzata dal patto stretto con l’uomo) la bontà solidale e spontanea, che previene gli appelli e che le affianca a un cenno d’intesa nel momento della disgrazia segreta che l’uomo non comprende. Mai le donne l’avrebbero salvata: e le mancava l’uomo.

Per esempio, se c’era una sciattona in tutto l’esercito di Francia, era lei.

Nella mia vita ho incontrato donne di grande forza. Non potrei vivere senza una donna al mio fianco. Sono solo un pezzo d’un essere bicefalo e bisessuato, che è il vero organismo biologico e pensante.

Al principio di tutte le storie che finiscono male c’è una donna, non si sbaglia.

Così sempre corre il giovane verso la donna: ma è davvero amore per lei a spingerlo? o non è amore soprattutto di sé, ricerca d’una certezza d’esserci che solo la donna gli può dare? Corre e s’innamora il giovane, insicuro di sé, felice e disperato, e per lui la donna è quella che certamente c’è, e lei sola può dargli quella prova.

Ma la donna anche lei c’è e non c’è: eccola di fronte a lui, trepidante anch’essa, insicura, come fa il giovane a non capirlo? Cosa importa chi trai due è il forte e chi il debole? Sono pari. Ma il giovane non lo sa perché non vuole saperlo: quella di cui ha fame è la donna che c’è, la donna certa. Lei invece sa più cose; o meno; comunque sa cose diverse; ora è un diverso modo d’essere che cerca.

Per il giovane, la donna è quel che sicuramente c’è.

Al principio di tutte le storie che finiscono male c’è una donna, non si sbaglia. Tu sei giovane, impara quello che ti dico: la guerra è tutta colpa delle donne.

Solo chi – uomo e donna – è convinto al cento per cento d’avere la possibilità morale e materiale non solo d’allevare un figlio ma d’accoglierlo come una presenza benvenuta e amata, ha il diritto di procreare; se no, deve per prima cosa far tutto il possibile per non concepire e se concepisce (dato che il margine d’imprevedibilità continua a essere alto) abortire non è soltanto una triste necessità, ma una decisione altamente morale da prendere in piena libertà di coscienza.

Nell’aborto chi viene massacrato, fisicamente e moralmente, è la donna; anche per un uomo cosciente ogni aborto è una prova morale che lascia il segno, ma certo qui la sorte della donna è in tali sproporzionate condizioni di disfavore in confronto a quella dell’uomo, che ogni uomo prima di parlare di queste cose deve mordersi la lingua tre volte.

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Ma la donna anche lei c’è e non c’è: eccola di fronte a lui, trepidante anch’essa, insicura, come fa il giovane a non capirlo? Cosa importa chi trai due è il forte e chi il debole? Sono pari. (Italo Calvino)

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Italo Calvino: frasi sul viaggio

I viaggi sono esperienze che ci cambiano, ci arricchiscono. Un detto recita: “i viaggi sono l’unica cosa che puoi comprare che ti rende più ricco”, proprio perché ogni avventura che viviamo è un dono che facciamo a noi stessi.
Gli amanti del viaggio che cercano una frase che racchiuda il significato profondo del loro cammino personale non potranno non amare le prossime frasi di Italo Calvino:

Viaggiando ci s’accorge che le differenze si perdono: ogni città va somigliando a tutte le città, i luoghi si scambiano forma ordine distanze, un pulviscolo informe invade i continenti.

Se ti dico che la città a cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla.

Volare è il contrario del viaggio: attraversi una discontinuità dello spazio, sparisci nel vuoto, accetti di non essere in nessun luogo per una durata che è anch’essa una specie di vuoto nel tempo; poi riappari, in un luogo e in un momento senza rapporto col dove e col quando in cui eri sparito.

L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.

Anche quando pare di poche spanne, un viaggio può restare senza ritorno.

Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s’accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d’altre terre.

Basta che cominciate a dire di qualcosa: “Ah che bello, bisognerebbe proprio fotografarlo!” e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è perduto, che è come se non fosse esistito, e che quindi per vivere veramente bisogna fotografare quanto più si può, e per fotografare quanto più si può bisogna: o vivere in modo quanto più fotografabile possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della propria vita. La prima via porta alla stupidità, la seconda alla pazzia.

Non esisteva né un prima né un dopo né un altrove da cui immigrare.

Il mio nome è al termine del mio viaggio.

Forse un giorno si arriverà ad essere tutti sereni, e non capiremo più tante cose perché capiremo tutto.

Arrivare e non aver paura, questa è la meta ultima dell’uomo.

La forza dell’eremita si misura non da quanto lontano è andato a stare, ma dalla poca distanza che gli basta per staccarsi dalla città, senza mai perderla di vista.

Chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria.

C’è una persona che fa collezione di sabbia. Viaggia per il mondo, e quando arriva a una spiaggia marina, alle rive d’un fiume o d’un lago, a un deserto, a una landa, raccoglie una manciata d’arena e se la porta con sé. Al ritorno, l’attendono allineati in lunghi scaffali centinaia di flaconi di vetro entro i quali la fine sabbia grigia del Balaton, quella bianchissima del Golfo del Siam, quella rossa che il corso del Gambia deposita giù per il Senegal, dispiegano la loro non vasta gamma di colori sfumati, rivelano un’uniformità da superficie lunare, pur attraverso le differenze di granulosità e consistenza, dal ghiaino bianco e nero del Caspio che sembra ancora inzuppato d’acqua salata, ai minutissimi sassolini di Maratea, bianchi e neri anch’essi, alla sottile farina bianca punteggiata di chiocciole viola di Turtle Bay, vicino a Malindi nel Kenia.

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Arrivare e non aver paura, questa è la meta ultima dell’uomo. (Italo Calvino)

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Aforismi di Italo calvino sulla politica e sulla guerra

Quando si parla di Calvino e delle sue opere non si può non menzionare il forte impatto che la politica dell’epoca ebbe sulla sua carriera e sulla sua persona.
Con il nome di Santiago (il paesino cubano che gli aveva dato i natali), Italo Calvino fu un partigiano e lottò per la difesa dei diritti, della dignità umana e della libertà, anche attraverso la sua carriera politica e culturale.
Ecco allora alcuni aforismi di Italo Calvino sulla politica:

I sogni dei partigiani sono rari e corti, sogni nati dalle notti di fame, legati alla storia del cibo sempre poco e da dividere in tanti: sogni di pezzi di pane morsicati e poi chiusi in un cassetto. I cani randagi devono fare sogni simili, d’ossa rosicchiate e nascoste sottoterra.

Non c’è difesa né offesa, non c’è senso di nulla, – disse Torrismondo. – La guerra durerà fino alla fine dei secoli e nessuno vincerà o perderà, resteremo fermi gli uni di fronte agli altri per sempre. E senza gli uni gli altri non sarebbero nulla e ormai sia noi che loro abbiamo dimenticato perché combattiamo.

Nella mia mente le loro storie di terrore inflitte da noi si confondevano coi miei ricordi di terrore subìto: più apprendevo quanto avevamo fatto tremare, più tremavo.

La democrazia si presentava ai cittadini sotto queste spoglie dimesse, grigie, disadorne; ad Amerigo a tratti ciò pareva sublime, nell’Italia da sempre ossequiente a ciò che è pompa, fasto, esteriorità, ornamento; gli pareva finalmente la lezione d’una morale onesta e austera; e una perpetua silenziosa rivincita sui fascisti, su coloro che la democrazia avevano creduto di poter disprezzare proprio per questo suo squallore esteriore, per questa sua umile contabilità, ed erano caduti in polvere con tutte le loro frange e i loro fiocchi, mentre essa, col suo scarno cerimoniale di pezzi di carta ripiegati come telegrammi, di matite affidate a dita callose o malferme, continuava la sua strada.

Le imprese più ardite vanno vissute con l’animo più semplice.

Pensò che solo quella democrazia appena nata poteva meritare il nome di democrazia; era quello il valore che invano poco fa egli andava cercando nella modestia delle cose e non trovava; perché quell’epoca era ormai finita, e piano piano a invadere il campo era tornata l’ombra grigia dello Stato burocratico, uguale prima durante e dopo il fascismo, la vecchia separazione tra amministratori e amministrati.

Il comunismo è che se entri in una casa e mangiano della minestra, ti diano della minestra, anche se sei stagnino, e se mangiano del panettone, a Natale, ti diano del panettone. Ecco cos’è il comunismo.

Certe cose sulla vita partigiana nessuno le ha mai dette, nessuno ha mai scritto un racconto che sia anche la storia del sangue nelle vene, delle sostanze nell’organismo.

I rivoluzionari sono più formalisti dei conservatori.

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Le imprese più ardite vanno vissute con l’animo più semplice. (Italo Calvino)

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Italo Calvino: immagini con frasi celebri

Per concludere, una rassegna di immagini e frasi di Italo Calvino, combinate insieme con bellissime foto che fanno da sfondo ai migliori aforismi dello scrittore.
Perfette per uno status alternativo, per esprimere i vostri pensieri attraverso le parole delle opere enigmatiche di Italo Calvino: se le frasi di Italo Calvino vi hanno fatto appassionare o se già conoscevate i suoi libri, non vi resta che condividerle!

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I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi. (Italo Calvino)
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Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore. (Italo Calvino)
Chi ha occhio, trova quel che cerca anche ad occhi chiusi. (Italo Calvino)
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Anche quando pare di poche spanne, un viaggio può restare senza ritorno. (Italo Calvino)
frasi bellissime italo calvino
La conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso. (Italo Calvino)
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Non si leggono i classici per dovere o per rispetto, ma solo per amore. (Italo Calvino)
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Beati quelli il cui atteggiamento verso la realtà è dettato da immutabili ragioni interiori! (Italo Calvino)
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Il mio nome è al termine del mio viaggio. (Italo Calvino)
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Chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria. (Italo Calvino)
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Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori! (Italo Calvino)
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La fantasia è un posto dove ci piove dentro. (Italo Calvino)

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Martina Antonicelli
Classe 1989, traduttrice e autrice. Le parole sono la mia passione, insieme ai viaggi, alla natura, ai miei gatti e, ovviamente, a mio marito e mia figlia, Lilith. Sono sempre in movimento, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da imparare e di persone da conoscere.