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Baricco: frasi
Alessandro Baricco è uno scrittore, sceneggiatore e drammaturgo italiano. Grazie ai tanti libri da lui scritti abbiamo a disposizione centinaia di aforismi e citazioni da utilizzare in pensieri personali, dediche e post social. Questo articolo è interamente dedicato agli aforismi di Alessandro Baricco. Quelli sulla vita, sull’amore e anche, per esempio, sul mare. Cinque paragrafi di frasi e immagini di Baricco, utili per conoscere l’autore e il suo talento nello scrivere e nel creare storie. Quanti di voi sono a conoscenza che il famosissimo film Il pianista sull’oceano è tratto dal suo monologo Novecento?
Aforismi di Baricco
In questo paragrafo troverete un’ampia selezione di frasi di Baricco dedicate a ogni aspetto della nostra vita. Alessandro Baricco e le sue frasi celebri possono diventare i protagonisti di un commovente biglietto o di una dedica originale e che viene dal cuore. Scegliete una di queste frasi di Alessandro Baricco, quella che più sentite vostra e utilizzatela per creare qualcosa di unico ed emozionante.
Gli sconfitti escono dalle guerre con una vitalità e un’energia creativa che i vincitori si sognano.
Negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto.
Si ha sempre questa idea di essere capitati nella partita sbagliata e che con le nostre carte chissà cosa saremmo riusciti a fare se solo ci sedevamo a un altro tavolo da gioco.
Mi ha detto che secondo lui la gente vive per anni e anni, ma in realtà è solo in una piccola parte di quegli anni che vive davvero, e cioè negli anni in cui riesce a fare ciò per cui è nata. Allora, lì, è felice. Il resto del tempo, è tempo che passa ad aspettare o a ricordare. Quando aspetti o ricordi non sei né triste né felice. Sembri triste, ma è solo che stai aspettando, o ricordando. Non è triste la gente che aspetta, e nemmeno quella che ricorda. Semplicemente è lontana.
Ho diciotto anni e già la felicità ha il sapore della memoria.
Forse si muore in tanti modi e ogni tanto mi chiedo se anche noi non lo stiamo facendo senza saperlo.
Si trovava in una situazione nota a molti umani, ma non per questo meno dolorosa: ciò che li fa sentire vivi, è qualcosa che però, lentamente, è destinato ad ammazzarli.
Forse il mondo è una ferita e qualcuno la sta ricucendo in quei due corpi che si mescolano.
Noi iniziammo a masticare chewingum (come diavolo si scrive?) e loro iniziarono a bere vino.
Si scopre alla fine che il dolore, tutto quel dolore, era inutile, che si è sofferto come bestie, ed era inutile, non era né giusto né ingiusto, non era bello o brutto, era solo inutile.
Senza fatica non c’è premio, e senza profondità non c’è anima.
Ereditiamo l’incapacità verso la tragedia, e la predestinazione alla forma minore del dramma.
Noi siamo cattolici e non siamo abituati a distinguere tra il valore estetico e il valore morale.
Linguaggio è la musica con cui si affascinano i serpenti a guardia dei tesori altrui.
Non c’è una definizione della stupidità, però ce ne sono molti esempi.
Ognuno ha il mondo che si merita. Io forse ho capito che il mio è questo qua. Ha di strano che è normale.
Occorre scolpire la propria statua: lavorare su se stessi, scalpellando via tutto ciò che di falso o inutile ci sta attaccato, e liberare, alla fine, quel che noi siamo, nella saldezza imperturbabile della magnificenza dell’esistere. Allora saremmo, davvero, dei sapienti: che non è il nome di uno che sa tutto, è il nome di uno che non ha più paura di niente. Guarito.
Provate a dirmi chi siete. Lo disse in francese, strascicando un po’ le vocali, con una voce rauca, vera.
Tutti siamo qualche pagina di un libro, ma di un libro che nessuno ha mai scritto e che invano cerchiamo negli scaffali della nostra mente.
Fare il proprio volo ogni giorno. Almeno un momento che può essere breve, purché sia intenso. Ogni giorno un ‘esercizio spirituale’, da solo o in compagnia di una persona che vuole parimenti migliorare. Uscire dalla durata. Sforzarsi di spogliarsi delle proprie passioni, delle vanità, del desiderio di rumore intorno al proprio nome. Fuggire la maldicenza. Deporre la pietà e l’odio. Amare tutti gli uomini liberi. Questo sforzo su di sé è necessario, questa ambizione giusta.
E poi chi l’ha detto che si deve proprio vivere allo scoperto, sempre sporti sul cornicione delle cose, a cercare l’impossibile, a spiare tutte le scappatoie per sgusciare via dalla realtà? È proprio obbligatorio essere eccezionali?
Chissà se gli scrittori fanno la stessa fatica. Non credo. Non mi affatica suonare per ore, potrei andare avanti all’infinito. Il proprio mestiere è quello che si fa senza fatica.
Ci sarà un’alba o un tramonto o un mezzogiorno che mi vedranno morire.
Prima regola prudenza, la seconda audacia.
Si legge non tanto per imparare né in fondo per essere intrattenuti in modo intelligente: lo si fa per lasciare che quella prosa scorra su certe personali stanchezze, o sconfitte, o disfatte, e ne lenisca il bruciore, sciacquando via lo sporco dalla ferita. Così si legge per il puro piacere della lettura e per salvarsi.
È un viaggio per viandanti pazienti, un libro.
Così fa il destino: potrebbe filar via invisibile e invece brucia dietro di sé, qua e là, alcuni istanti, fra i mille di una vita. Nella notte del ricordo, ardono quelli, disegnando la via di fuga della sorte. Fuochi solitari, buoni per darsi una ragione, una qualsiasi.
Ora: nel mio mondo scarseggia l’onestà intellettuale, ma non l’intelligenza.
Puoi spendere anni a vivere, ore a leggere libri, milioni a farti allenare dallo psicanalista: ma alla fine la palla è in rete che finisce. L’errore annulla qualsiasi passato nell’istante in cui arriva a bruciarti qualsiasi futuro. L’errore azzera il tempo, qualsiasi tempo. Vedi cosa riesce a spiegarti, il tennis, senza dare nell’occhio: che quando sbagli, nel preciso istante in cui lo fai, sei eterno.
Sabbia a perdita d’occhio, tra le ultime colline e il mare – il mare – nell’aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord. La spiaggia. E il mare.
La musica è l’armonia dell’anima.
Eppure, in quella innegabile perdita di ricchezza, in quella volontaria riduzione di possibilità, in quella ritirata strategica geniale, quegli uomini trovarono la strettoia attraverso cui arrivare a un mondo nuovo, che tutto sarebbe stato tranne una perdita di anima.
C’è una dignità immensa, nella gente, quando si porta addosso le proprie paure, senza barare, come medaglie della propria mediocrità.
La realtà ha una coerenza illogica, ma effettiva.
Qualcuno diceva: ha qualcosa addosso, come una specie di infelicità.
Fanno delle cose, le donne, alle volte, che c’è da rimanerci secchi. Potresti passare una vita a provarci: ma non saresti capace di avere quella leggerezza che hanno loro, alle volte. Sono leggere dentro. Dentro.
Non per altro: ma è sempre un qualche meraviglioso silenzio che porge alla vita il minuscolo o enorme boato di ciò che poi diventerà inamovibile ricordo.
La sera, come tutte le sere, venne la sera. Non c’è niente da fare: quella è una cosa che non guarda in faccia a nessuno. Succede e basta. Non importa che razza di giorno arriva a spegnere. Magari era stato un giorno eccezionale, ma non cambia nulla. Arriva e lo spegne. Amen.
Se una cosa vende molto, vale poco. L’adesione irrazionale a un principio del genere è probabilmente uno dei peccati capitali di ogni grande civiltà nella propria fase di decadenza.
C’è sempre un piano preciso, dietro a tutto… in questo aveva ragione il signor Rail… ognuno ha davanti le sue rotaie, che le veda o no.
Devo comunicarvi una cosa molto importante, monsieur. Facciamo tutti schifo. Siamo tutti meravigliosi, e facciamo tutti schifo.
Addio mio piccolo signore, che sognavi i treni e sapevi dov’era l’infinito; tutto quel che c’era io l’ho visto, guardando te. E sono stata ovunque, stando con te.
Si imparano un sacco di cose, avendo la pazienza di farlo.
E sentì il velluto della sua voce quando gli disse ‐ sei tornato ‐ dolcemente ‐ sei tornato.
A volte le parole non bastano. E allora servono i colori. E le forme. E le note. E le emozioni.
Gli occhi dei vecchi piangono sempre un po’.
Conosciamo l’avvio delle cose e poi ne riceviamo la fine, mancando sempre il loro cuore. Siamo aurora ma epilogo, perenne scoperta tardiva.
Erano aspiranti lettori che non avevano mai aperto un libro.
Una competizione tra un potere consolidato e degli outsider ambiziosi.
Impara a respirare con le branchie Google!
Il padre che non sarò mai l’ho incontrato guardando un bambino morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo, bellissimo, volevo essere l’ultima cosa che guardava al mondo, quando se ne andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto.
La gente vive per anni e anni, ma in realtà è solo una piccola parte di quegli anni che vive davvero, e cioè negli anni in cui riesce a fare ciò per cui è nata. Allora, lì, è felice. Il resto del tempo è tempo che passa ad aspettare o a ricordare.
Stava lì, come una candela accesa in un granaio che brucia.
Perdonami amico ma io non scenderò da questa nave, non scenderò… al massimo, posso scendere dalla mia vita.
Si sarà notato che essi osservano il loro destino nel modo in cui, i più, sono soliti osservare una giornata di pioggia.
Corse via come se fosse in ritardo di anni. In un certo modo, lo era.
Vorrei studiare i saccheggi non tanto per spiegare com’è andata e cosa si può fare per ritirarsi in piedi, quanto per arrivare a leggerci dentro il modo di pensare dei barbari.
È importante vedere come la gente sceglie i nomi. Morire e dare nomi – non si fa altro di sincero, probabilmente, per tutto il tempo che si campa.
Per questo siamo in grado di metabolizzare incredibili dosi di infelicità scambiandole per il doveroso corso delle cose: non ci sfiora il sospetto che nascondano ferite da curare, e fratture da ricomporre.
Nel momento in cui raccontava una cosa, lo era: una scrittura esatta oltre ogni ragionevolezza. L’epica dell’esattezza.
La prossima volta che nasco ateo, lo faccio in un paese dove quelli che credono in Dio credono in un Dio felice.
La gente vive per anni e anni, ma in realtà è solo una piccola parte di quegli anni che vive davvero, e cioè negli anni in cui riesce a fare ciò per cui è nata. Allora, lì, è felice. Il resto del tempo è tempo che passa ad aspettare o a ricordare. Ma non è triste quando aspetta o ricorda. Sembra triste. Ma è solo un po’ lontana.
Rubi minuti alla sera. Li chiami: “Vita”. Respiri.
“Io verrei qui e vi porterei via, per sempre.” Sorride, Ann Deverià. “Riditemelo Bartleboom. Proprio in quel tono lì, vi prego. Riditemelo.”
Insomma, non aveva tabù.
Vino senz’anima.
Capisci come combattono e magari capirai chi sono.
Il sindaco lo fermò: – cosa diavolo dovrei fare? – niente. E sarete il sindaco di un paese ricco.
Si chiese se c’è una possibilità, una sola, di tornare a guardare lontano quando davanti abbiamo sempre, tutti, qualche rovina che fuma.
Adoro disseppellire i giorni, a uno a uno, dalla memoria della gente. È come un solitario, è come girare a una a una delle carte sul tavolo.
Qualsiasi incantesimo è fragile oltre ogni dire, e velocissima la vita nel suo rapinare.
La medietà è veloce. Il genio è lento. Nella medietà il sistema trova una circolazione rapida delle idee e dei gesti: nel genio, nella profondità dell’individuo più nobile, quel ritmo è spezzato. Un cervello semplice trasmette messaggi più velocemente, un cervello complesso li rallenta.
A chi fa un sacco di fatica a capire la propria zolla di terra, non resta molto per capire il resto del campo.
Quando muore qualcuno, agli altri spetta di vivere anche per lui.
Volavano lenti, salendo e scendendo nel cielo, come se volessero cancellarlo, meticolosamente, con le loro ali.
Torneranno. È sempre difficile resistere alla tentazione di tornare.
Alzò lo sguardo su Hervè Joncour. I suoi occhi la fissavano, e lei capì che erano occhi bellissimi. Riabbassò lo sguardo sul foglio.
C’erano un sacco di cose che dovevamo distruggere per poter costruire quello che volevamo, non c’era altro modo, dovevamo essere capaci di soffrire e impartire sofferenza, chi avrebbe tollerato più dolore avrebbe vinto, non si può sognare un mondo migliore e pensare che te lo consegneranno solo perché lo chiedi, quelli non avrebbero mai ceduto, bisognava combattere.
Complice una precisa innovazione tecnologica, un gruppo umano sostanzialmente allineato al modello culturale imperiale, accede a un gesto che gli era precluso, lo riporta istintivamente a una spettacolarità più immediata e a un universo linguistico moderno, e ottiene così di dargli un successo commerciale stupefacente.
Quando facevo i ritratti alla gente iniziavo dagli occhi. Li studiavo per minuti e minuti, li abbozzavo con la matita e quello era il segreto perché una volta che voi avete disegnato gli occhi.. Succede che tutto il resto viene da sé, è come se tutti gli altri pezzi scivolassero da soli intorno a quel punto iniziale. Il problema è: dove cavolo sono gli occhi del mare?
A prescindere da cultura alto o bassa, è il racconto della realtà che ti incunea la realtà nella testa, e te la fa esplodere dentro. I fatti diventano tuoi o quando ti schiantano la vita, direttamente, o quando qualcuno te li compone in racconto e te li spedisce in testa. Che vuol dire anche: raccontare non è un vezzo da dandy colti, è una necessità civile che salva il reale da un’anestetizzata equivalenza. Il racconto, e non l’informazione, ti rende padrone della tua storia.
La sua piccola rivoluzione è sintetizzata in questo orrore: si mise a dare i voti ai vini.
Rinunciare ai cavalli, alla civiltà dei cavalli, era forse la ritirata strategica necessaria, la inevitabile perdita di anima, per ottenere lo sviluppo di un’energia che non sarebbe poi apparsa, obbiettivamente, come una barbarie.
Il punto è importante proprio per il tipo di evidenza che assume in una cultura ancora fortemente romantica come la nostra: quel vino nega uno dei principi dell’estetica che ci è propria: l’idea che per raggiungere l’alta nobiltà del valore vero si debba passare per un tortuoso cammino se non di sofferenza quanto meno di pazienza e apprendimento.
Dunque, nuovo indizio: i barbari usano una lingua nuova. Tendenzialmente più semplice. Chiamiamola: moderna.
Vabbè, fine della predica. Ma era una cosa che ci tenevo a dire.
Vediamo i saccheggi, ma non riusciamo a vedere l’invasione.
Certe persone sono termometri, altre termostati. Tu sei un termostato. Non registri la temperatura in una stanza, la cambi.
Commercializzazione spinta uguale perdita dell’anima.
Si sono adattati, hanno corretto due o tre cose, e l’hanno fatto. Anche molto bene, bisogna dire.
Voglio dire che ad affascinarlo, nel presente, erano gli indizi delle mutazioni che, quel presente, avrebbero dissolto.
Se si potessero chiedere in quel modo i libri, quanta gente di più entrerebbe nelle librerie e comprerebbe libri?
In quel preciso punto, dove sembrano essersi perse forza e cultura, passano in realtà correnti fortissime di energia, generate da eventi prossimi, che sembrano avere bisogno, per esprimersi, di quella strettoia, di quella discesa, di quella ritirata strategica.
Lo stormo, terrorizzato, si alzò in cielo, come una nube di fumo sprigionata da un incendio. Era così grande che avresti potuto vederla a giorni e giorni di cammino da lì. Scura nel cielo, senz’altra meta che il proprio smarrimento.
“Mi sono addormentato, e ti ho sognata.” “E com’ero?” “Viva” “Viva? E poi?” “Viva. Non chiedermi altro. Eri viva.” “Viva… io?”
Minuscole onde circolari posavano l’acqua del lago sulla riva, come spedite, lì, da lontano.
In due giorni, a cavallo, giunsero in vista del villaggio. Hervè Joncour vi entrò a piedi perché la notizia del suo arrivo potesse arrivare prima di lui.
La spettacolarità diventa un valore. Il valore.
Capiva solo che nulla è più forte di quell’istinto a tornare dove ci hanno spezzato, e a replicare quell’istante per anni. Solo pensando che chi ci ha salvati una volta lo possa poi fare per sempre. In un lungo inferno identico a quello da cui veniamo. Ma d’improvviso clemente. E senza sangue.
Se la farinata l’avessero inventata in Nebraska, facilmente adesso la mangerebbero anche nello Yemen.
Lei leggeva un libro, ad alta voce, e questo lo rendeva felice perché pensava non ci fosse voce più bella di quella, al mondo. Compì 33 anni il 4 settembre 1862.
“È una voliera”, “Una voliera?”, “Sì”, “E a cosa serve? Hervè Joncour teneva fissi gli occhi su quei disegni”, “Tu la riempi di uccelli, più che puoi, poi un giorno che ti succede qualcosa di felice la spalanchi e li guardi volare via”.
Il braccio che è diventato pinna, forse non è un cancro, ma l’inizio di un pesce.
E allora… quello, esattamente quello, finalmente, io lo so, sarà il posto in cui dovevo arrivare. Da lontano, da dovunque, io non ho fatto che camminare verso quel punto esatto, quel metro quadrato di legno posato sul fondo di un immenso bicchiere di vetro. Lì, quel giorno, io sarò arrivato alla fine del mio cammino. Dopo… tutto quello che accadrà dopo… non conterà più niente.
L’ultima cosa che vide, prima di uscire, furono gli occhi di lei fissi sui suoi, perfettamente muti.
Liberi poi di giudicare che, comunque, questa nuova forma di energia, di senso, di civiltà, non è all’altezza di quella precedente: questo è assolutamente possibile.
Era fatto così, lui. Un po’ come il vecchio Danny: non aveva il senso della gara, non gli fregava niente sapere chi vinceva, era il resto che lo stupiva. Tutto il resto.
Erano mosse apparentemente suicide. Ma erano il movimento di una zampa, o la flessione della schiena, o l’angolo di uno sguardo: intorno c’era l’animale, ed aveva un piano, ed era l’animale, l’unico, che sarebbe sopravvissuto.
Certo, era uno che dalla vita non si aspettava nulla di buono. O faceva finta, non lo so. Di fatto non salvava praticamente nulla.
Il tintinnare della vita, spesso, sul tavolo di marmo del tempo, come di perle lasciate cadere.
Ignoravano la successione dei giorni, perché miravano a viverne uno solo, perfetto, ripetuto all’’infinito: quindi il tempo era per loro un fenomeno dai contorni labili che risuonava nelle loro vite come una lingua straniera.
Perché non dovremmo essere capaci di scambiare la depressione per una forma di eleganza, e l’infelicità per una colorazione appropriata della vita?
La strana intimità di quelle due rotaie. La certezza di non incontrarsi mai. L’ostinazione con cui continuano a corrersi di fianco.
Certo… sai che musica però…con quelle mani, due, destre… se solo c’è un pianoforte…
Era un pioniere, non aveva quattro generazioni di artisti del vino alle spalle, e faceva vino dove nessuno aveva mai pensato di fare altro che pesche e fragole.
“Com’era la fine del mondo?”, gli chiese Baldabiou, “invisibile”.
“Tanto a qualcuno la dovrai raccontare, prima o poi, la verità”. Lo disse piano, con fatica, perché non credeva, mai, che la verità servisse a qualcosa.
Il talento vero è possedere le risposte quando ancora non esistono le domande.
Raccontò che c’erano due strade, per tornare a casa, ma solo in una si sentiva il profumo di more, sempre, anche d’inverno. Disse che era la più lunga. E che suo padre prendeva sempre quella, anche quando era stanco, anche quand’era vinto. Spiegò che nessuno deve credere di essere solo, perché in ciascuno vive il sangue di coloro che l’hanno generato, ed è una cosa che va indietro fino alla notte dei tempi. Così siamo solo la curva di un fiume, che viene da lontano e non si fermerà dopo di noi.
Credetemi: è dall’alto, che bisognerebbe guardare. È dall’alto che forse si può riconoscere la mutazione genetica, cioè le mosse profonde che poi creano, in superficie, i guasti che conosciamo. Io cercherò di farlo provando a isolare alcune mosse che mi sembra siano comuni a molti degli atti barbarici che rileviamo in questi tempi. Mosse che alludono a una precisa logica, per quanto difficile da capire, e a una chiara strategia, per quanto inedita.
Nell’apparente indigenza di quel particolare, trova appoggio una forza più ampia che, senza quella debolezza, non starebbe in piedi.
È ovvio che, una volta isolato, qualsiasi segmento del corpo risulta fragile, immotivato, e perfino ridicolo. Ma è il movimento armonico di tutto l’animale, che bisognerebbe essere capaci di vedere. Se c’è una logica, nel movimento dei barbari, è solo leggibile a uno sguardo capace di assemblarne i diversi pezzi. Altrimenti è chiacchiera da bar.
Lo faceva godere studiare l’esatto punto in cui una civiltà trova il punto d’appoggio per ruotare su se stessa e diventare paesaggio nuovo e inimmaginabile. Lo faceva morire descrivere quel movimento titanico che per i più era invisibile, e per lui, invece, così evidente.
Nel suo piccolo, il microcosmo del vino descrive l’avvento, a livello planetario, di una prassi che, salvando il gesto, sembra (ho detto sembra) disperderne il senso, la profondità, la complessità, l’originaria ricchezza, la nobiltà, perfino la storia.
Da Baudelaire alle pubblicità, qualsiasi cosa su cui si chinava diventava la profezia di un mondo a venire, e l’annuncio di una nuova civiltà.
La gente fa così, è cattiva con quelli che perdono.
La vecchia e cara Europa di Thomas Mann e degli antichi parapetti di Dresda non conta più nulla.
L’idea, per quanto possa sembrare cervellotica, è che il miglior modo di aiutare i poveri è aiutare i ricchi a moltiplicare il denaro: qualcosa finirà in tasca anche ai poveri.
Non c’è nulla sulla faccia della terra, nulla che respiri o cammini, nulla di così infelice come l’uomo.
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Frasi dei libri di Baricco
Un paragrafo principalmente dedicato alle opere dello scrittore, quelle più belle e più famose. Di seguito le frasi di Baricco di Oceano mare, romanzo uscito nei primi anni 90 e che ha emozionato tantissimi lettori. A seguire anche le frasi di Baricco di Seta (1996), da cui pochi anni fa è stato tratto un film. E per finire anche le frasi di Baricco di Novecento.
Tutto quello che c’era io l’ho visto guardando te. E sono stata ovunque, stando con te. È una cosa che non riuscirò mai a spiegare a nessuno, ma è così. Me la porterò dietro e sarà il mio segreto più bello.
E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce a immaginarsi il desiderio. Ma non ho cercato di fermarmi, né di fermarti. Sapevo che prima o poi l’avrebbe fatto lei. E lo ha fatto. È scoppiata tutto d’un colpo.
Succede. Uno si fa dei sogni, roba sua, intima, e poi la vita non ci sta a giocarci insieme, e te li smonta, un attimo, una frase, e tutto si disfa. Succede.
Mica per altro che vivere è un mestiere gramo.
Tocca rassegnarsi. Non ha gratitudine, la vita, se capite cosa voglio dire.
Ed è qualcosa da cui non puoi scappare. Il mare… Ma soprattutto: il mare chiama… Non smette mai, ti entra dentro, ce l’hai addosso, è te che vuole… Puoi anche far finta di niente, ma non serve. Continuerà a chiamarti… Senza spiegare nulla, senza dirti dove, ci sarà sempre un mare, che ti chiamerà.
Perché un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte.
La sconcertante scoperta di quanto sia silenzioso, il destino, quando, d’un tratto, esplode.
E invece neanche si erano dovuti cercare, questo è incredibile, e tutto il difficile era stato solo riconoscersi – riconoscersi – una cosa di un attimo, il primo sguardo e già lo sapevano, questo è il meraviglioso. Non si è mai lontani abbastanza per trovarsi.
Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce ad immaginarsi il desiderio.
Non si è mai troppo lontani per non trovarsi.
Il mare è senza strade, il mare è senza spiegazioni.
Occorre sempre seminare dietro una pretesto per tornare, quando si parte.
Il mare incanta, il mare uccide, commuove, spaventa, fa anche ridere, alle volte, sparisce, ogni tanto, si traveste da lago, oppure costruisce tempeste, divora navi, regala ricchezze, non dà risposte, è saggio, è dolce, è potente, è imprevedibile. Ma soprattutto: il mare chiama.
La vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce ad immaginarsi il desiderio.
Hai degli occhi che non ti ho visto mai.
Dove inizia la fine del mare? O addirittura: cosa diciamo quando diciamo: mare? Diciamo l’immenso mostro capace di divorarsi qualsiasi cosa, o quell’onda che ci schiuma intorno ai piedi? L’acqua che puoi tenere nel cavo della mano o l’abisso che nessuno può vedere? Diciamo tutto in una parola sola o in un sola parola tutto nascondiamo?
Il mondo di fuori è sempre là. Puoi fare qualsiasi cosa ma stai certo che te lo ritrovi al suo posto, sempre. C’è da non crederci, ma è così.
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Loro sono 88, tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu, ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita… Se quella tastiera è infinita, allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Tu sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio. Cristo, ma le vedevi le strade? Anche solo le strade. Ce n’è a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una, a scegliere una donna, una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Tutto quel mondo, quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce e quanto ce n’è. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla?
Negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto.
Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla.
Suonavamo perché l’Oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov’era, e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio.
Quando non sai cos’è, allora è jazz.
Quello che per primo vede l’America. Su ogni nave ce n’è uno. E non bisogna pensare che siano cose che succedono per caso, no… e nemmeno per una questione di diottrie, è il destino, quello. Quella è gente che da sempre c’aveva già quell’istante stampato nella vita.
Andavo di fantasia, e di ricordi, è quello che ti rimane da fare, alle volte, per salvarti, non c’è più nient’altro. Un trucco da poveri, ma funziona sempre.
Sapeva leggere. Non i libri, quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia… Tutta scritta, addosso. Lui leggeva, e con cura infinita, catalogava, sistemava, ordinava.
È uno strano dolore… Morire di nostalgia per qualcosa che non vivrai mai.
Pioveva la sua vita, davanti ai suoi occhi, spettacolo quieto.
Poiché la disperazione era un eccesso che non gli apparteneva, si chinò su quanto era rimasto della sua vita, e riniziò a prendersene cura, con l’incrollabile tenacia di un giardiniere al lavoro, il mattino dopo il temporale.
Sembra scontato, ma c’è del genio. E là dove la natura decide di collocare i propri limiti, esplode lo spettacolo. I tramonti.
La vita si ascolta così come le onde del mare… Le onde montano… crescono… cambiano le cose… Poi, tutto torna come prima… ma non è più la stessa cosa…
Chi l’avrebbe mai detto che baciando gli occhi di un uomo si possa vedere così lontano.
Due pezzi di puzzle. Fatti l’uno per l’altro. Da qualche parte del cielo un vecchio Signore, in quell’istante, li aveva finalmente ritrovati. – Diavolo! Lo dicevo Io che non potevano essere scomparsi.
Sapete, è geniale questa cosa che i giorni finiscono. È un sistema geniale. I giorni e poi le notti. E di nuovo i giorni.
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Frasi di Baricco: amore
Un’intensa selezione di frasi d’amore di Baricco. Emozionanti, romantiche e attuali. E soprattutto pronte per essere da voi copiate. Scegliete le frasi d’amore di Baricco che preferite e preparate un biglietto per la persona che amate, che sia da conquistare o che abbia già le chiavi del vostro cuore.
Non ti amo per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti amo perché il desiderio di te è più forte di qualsiasi felicità.
Stettero un bel po’ in silenzio, ognuno con i suoi pensieri, sembravano una coppia di quelle che si amano da tantissimo tempo e non hanno più bisogno di parlare.
Si incontreranno per tre volte, ma ogni volta sarà l’unica, e la prima, e l’ultima.
Non è detto che se ami davvero qualcuno, ma tanto, la cosa migliore che puoi farci insieme sia vivere.
Eravamo nello stesso amore, in quel momento – non abbiamo fatto altro, per anni. La sua bellezza, i suoi pianti, la mia forza, i suoi passi, il mio pregare – eravamo nello stesso amore. La sua musica, i miei libri, i miei ritardi, i suoi pomeriggi da solo – eravamo nello stesso amore. L’aria in faccia, il freddo nelle mani, le sue dimenticanze, le mie certezze – eravamo nello stesso amore.
E allora lei rise, era la prima volta che la vedevo ridere, e tu lo sai bene, Andersson, com’è Jun quando ride, non è che uno può star lì e far finta di niente, se c’è Jun che gli ride lì davanti è chiaro che uno finisce per pensare se io non bacio questa donna impazzirò. E io pensai: se non bacio questa ragazza impazzirò.
Lasciarono la villa con rimpianto, giacché avevano sentito lieve, tra quelle mura, la sorte di amarsi.
Allora la donna si voltò verso di lui e vide lo stesso viso di tante altre volte, i denti storti, gli occhi chiari, le labbra da ragazzino, quei capelli sparati in testa. Ci mise un po’ a dire qualcosa. Stava pensando alla misteriosa permanenza dell’amore, nella corrente mai ferma della vita.
Muoiono nello stesso respiro, gli amanti.
Che stagione del cuore è questa, in cui ci si trova a correre in soccorso di anni dimenticati, fingendo di averli sentiti gridare aiuto?
Fare l’amore così, la notte in cui lui tornava era un po’ più bello, un po’ più semplice, un po’ più complicato che in una notte qualunque. C’era di mezzo qualcosa come lo sforzo di ricordarsi qualcosa. C’era di mezzo un sottile timore di scoprire chissà ché. C’era di mezzo il bisogno che fosse comunque bellissimo. C’era di mezzo una voglia un po’ impaziente, un po’ feroce, che non c’entrava niente con l’amore. C’era di mezzo un sacco di roba. Dopo, dopo era come ricominciare a scrivere da una pagina bianca.
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Aforismi di Baricco sulla vita
Fra tanti aforismi e citazioni non possono ovviamente mancare gli aforismi sulla vita di Alessandro Baricco. Frasi famose intense e perfette per celebrare la nostra esistenza con le sue difficoltà, ma anche con le sue meraviglie. Quali fra queste frasi di Alessandro Baricco ritenete più adeguata per il momento che state vivendo?
Non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada. Io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo… salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l’onestà, essere buoni, essere giusti. No. Sono i desideri che salvano. Sono l’unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai. Però troppo tardi l’ho capito. Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile: e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male. È lì che salta tutto, non c’è verso di scappare, più ti agiti più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli più ti ferisci. Non se ne esce. Quando era troppo tardi, io ho iniziato a desiderare. Con tutta la forza che avevo. Mi sono fatta tanto di quel male che tu non puoi nemmeno immaginare.
Sensazione meravigliosa. Di quando il destino finalmente si schiude, e diventa sentiero distinto, e ormai inequivocabile, e direzione certa. Il tempo interminabile dell’avvicinamento. Quell’accostarsi. Si vorrebbe non finisse mai. Il gesto di consegnarsi al destino. Quella è un’emozione: senza più dilemmi, senza più menzogne. Sapere dove. E raggiungerlo. Qualunque sia, il destino.
Non accadde nulla, perché alla vita manca sempre qualcosa per essere perfetta.
Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.
Tutte le bocce di cristallo che avrai rotto, erano solo vita… non sono quelli gli errori… quella è vita… e la vita vera magari è proprio quella che si spacca… il mondo è pieno di gente che gira con in tasca le sue piccole biglie di vetro… le sue piccole tristi biglie infrangibili… e allora tu non smetterla mai di soffiare nelle tue sfere di cristallo.
Lui pensava, davvero, che gli uomini stanno sulla veranda della propria vita (esuli quindi da se stessi) e che questo è l’unico modo possibile, per loro, di difendere la propria vita dal mondo, giacché se solo si azzardassero a rientrare in casa (e ad essere se stessi, dunque) immediatamente quella casa regredirebbe a fragile rifugio nel mare del nulla, destinata ad essere spazzata via dal mare dell’Aperto, e il rifugio si tramuterebbe in trappola mortale, ragione per cui la gente si affretta a riuscire sulla veranda (e dunque da se stessa), riprendendo posizione là solo dove le è dato di arrestare l’invasione del mondo, salvando quanto meno l’idea di una propria casa, pur nella rassegnazione di sapere, quella casa, inabitabile. Abbiamo case, ma siamo verande, pensava.
La vita è sostanzialmente incoerente e la prevedibilità dei fatti un’illusoria consolazione.
Tra tutte le vite possibili, ad una bisogna ancorarsi per poter contemplare, sereni, tutte le altre.
Quel che di bello c’è nella vita è sempre un segreto… Per me è stato così… Le cose che si sanno sono le cose normali, o le cose brutte, ma poi ci sono i segreti, ed è lì che si va a nascondere la felicità.
Davvero ci sono momenti in cui l’onnipresente e logica rete delle sequenze casuali si arrende, colta di sorpresa dalla vita, e scende in platea, mescolandosi tra il pubblico, per lasciare che sul palco, sotto le luci della libertà vertiginosa e improvvisa, una mano invisibile peschi nell’infinito grembo del possibile e tra milioni di cose, una sola ne lasci accadere.
Perché è così che ti frega, la vita. Ti piglia quando hai ancora l’anima addormentata e ti semina dentro un’immagine, o un odore, o un suono che poi non te lo togli più. E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quando è troppo tardi. E già sei, per sempre, un esule: a migliaia di chilometri da quell’immagine, da quel suono, da quell’odore. Alla deriva.
Solo Dio ci basta, le cose mai. Ma non è sempre vero, non è vero per sempre. Basta alle volte l’eleganza di un gesto altrui, o la gratuita bellezza di una parola laica. Lo scintillio di vita, raccolto in destini sbagliati. La nobiltà del male a tratti. Filtra allora una luce che non avremmo sospettato. Si spezza la certezza di pietra e tutto crolla… Mi hanno detto – ci sono un sacco di cose vere, intorno, e noi non le vediamo, ma loro ci sono, e hanno un senso, senza nessun bisogno di Dio. Fammi un esempio. Tu, io, come siamo veramente, non come facciamo finta di essere. Voleva dire che nell’assenza di senso il mondo tuttavia accade, e in quell’acrobazia di esistere senza coordinate c’è una bellezza, perfino una nobiltà, talvolta, che noi non sappiamo – come la possibilità di un eroismo a cui non abbiamo mai pensato, l’eroismo di una qualche verità. Se riconosci questo, coi tuoi occhi, nel fissare il mondo, anche una sola volta, allora sei perduto – c’è ormai un’altra battaglia, per te. Cresciuti nella certezza di essere degli eroi, in altre leggende diventiamo memorabili. Sfuma Dio, come un epilogo infantile.
Un’altra vita, saremo onesti. Saremo capaci di tacere.
Per quanto uno si sforzi di vivere una sola vita, gli altri ce ne vedranno dentro altre mille, e questa è la ragione per cui non si riesce a evitare di farsi male.
Ogni tanto, nelle giornate di vento, scendeva fino al lago e passava ore e guardarlo, giacché, disegnato sull’acqua, gli pareva di vedere l’inspiegabile spettacolo, lieve, che era stata la sua vita.
Crepita, la vita, brucia istanti feroci e negli occhi di chi passa anche solo a venti metri da lì non è che un’immagine come un’altra, senza suono e senza storia.
Nulla può diventare così insignificante come qualsiasi cosa se ti ci svegli di fianco tutte le mattine della tua vita.
Uno ha una nota, che è sua, e se la lascia marcire dentro… no… statemi a sentire… anche se la vita fa un rumore d’inferno affilatevi le orecchie fino a quando arriverete a sentirla e allora tenetevela stretta, non lasciatela scappare più.
Il sesso cancella fette di vita che uno nemmeno si immagina. Sarà anche stupido, ma la gente si stringe con quello strano furore un po’ panico e la vita ne esce stropicciata come un biglietto stretto in un pugno, nascosto con una mossa nervosa di paura. Un po’ per caso, un po’ per fortuna, spariscono nelle pieghe di quella vita appallottolata mozziconi di tempo dolorosi, o vigliacchi, o mai capiti. Così.
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Frasi e immagini di Baricco
Terminiamo come sempre con le frasi e le immagini di Baricco. In questo paragrafo oltre ai video con le frasi di Baricco avete a disposizione una raccolta di immagini di Alessandro Baricco. Tutte originali e tutte con frasi significative e d’effetto dell’autore italiano.
https://youtu.be/MxfkUHLDfRM
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